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 «Sperimentazione sugli animali: i risultati non sono applicabili all’uomo»

Un argomentato articolo sulla spermentazione animale di Oscar Grazioli, medico veterinario, è stato pubblicato sulla Gazzetta di Parma del 5 novembre. Ecco il testo:

  Sono socio fondatore e membro del direttivo di
Oltre la sperimentazione animale (O.S.A.), che si pone, come obiettivo, quello di sostituire il fallace e fuorviante modello animale, con metodi di ricerca sostitutivi in grado di trovare cure efficaci per chi soffre di malattie devastanti che, nonostante decenni di studi su ratti e altri animali, costringono ancora alla disperazione milioni di malati, nonché intere famiglie, in tutto il mondo. Ringrazio i colleghi medici e biologi di O.S.A. che mi hanno dato preziosi suggerimenti per questo intervento.

  Il 19 settembre su questo quotidiano, il professor Gallese ha risposto a una lunga intervista circa un esperimento che riguarda sei macachi attualmente rinchiusi nello stabulario del centro di via Volturno a Parma. L'intervento del Gallese è durissimo fin dall'esordio. Si dice «indignato» e interviene per smontare «le falsità che vengono messe in giro da questi “dottor Pinco Palio”». E allora, «i dottor Pinco Palio» (evviva il codice deontologico!) intervengono per smontare, sul piano strettamente scientifico, le incongruenze (eufemismo) dichiarate dai fautori della sperimentazione animale e quelle che il Gallese, e i suoi sodali, vorrebbe farci passare per certezze scientifiche, mentre sono solo il retaggio di una ricerca biologica che ha conosciuto il suo fulgore due secoli fa e che perde ogni giorno credibilità sotto il peso schiacciante degli insuccessi che sono sotto gli occhi di tutti. Ci vorrà tempo, ma alla fine la verità vince. Da Tolomeo a Copernico, c'è voluto qualche secolo (e qualche persona arsa riva) prima di accettare che era la terra a girare intorno al sole e non viceversa..

  Ma partiamo dall’esperimento che si vorrebbe condurre a termine sui macachi e cerchiamo di spiegarlo ai lettori in parole comprensibili, senza le evoluzioni acrobatiche verbali adorate dai tanti azzeccagarbugli che contano sulle scarse conoscenze della gente comune e sulla suggestione del camice bianco. La vista è un fenomeno complesso ma si può spiegare in modo semplice: tramite l'occhio, le immagini arrivano in una o più zone del cervello che le elabora.
 Se l'occhio subisce gravi danni si diventa ciechi o ipovedenti. Se quelle zone del cervello vengono danneggiate si diventa ciechi, anche se l'occhio funziona perfettamente. Quando questo accade si parla di "ciechi corticati".
 Tra questi, alcuni mostrano il fenomeno del “blindsight" o “visione cieca" in cui capita che la persona, che ha subito un danno nella zona del cervello deputata alla visione ed è quindi rimasta irrimediabilmente cieca, conservi alcune percezioni, come direzione e verso di un oggetto in movimento. pur senza saper definire l'oggetto in sé, anzi negando addirittura di averio visto. Possono evitare una sedia messa sul loro cammino, ma alla richiesta di cosa hanno visto, la risposta è inevitabilmente: “Niente".

  Perché accade questo fenomeno? Probabilmente zone di cervello vicine a quella danneggiata tentano di sopperire alla sua funzione e il cieco (che tale rimane inesorabilmente purtroppo) avverte talvolta questi “fantasmi o bagliori di immagini”. Si tratta di fenomeni non frequenti, peraltro già estensivamente indagati in passato sia sulle scimmie, sia sugli unici modelli che possono fornire risposte importanti e adeguate, ovvero i pazienti che presentano il fenomeno stesso. In questi casi le ricerche sono state condotte attraverso le moderne tecniche di diagnostica per immagini che sono in grado, con il paziente sveglio e in modo del tutto non invasivo, di proiettare al cieco delle immagini, e vedere, attraverso lo strumento, quali aree del cervello si attivano.
  Per semplificare, immaginate un distretto di polizia con la carta geografica sul muro, dove si attivano luci diverse a seconda degli incidenti che accadono nei vari quartieri.

  Ebbene, gli sperimentatori vogliono invece servirsi di macachi ai quali provocheranno lesioni del cervello per renderli parziali ciechi corticali, dopo averli sottoposti a impianti intracranici permanenti, trascurando, tra le altre cose, che il macaco non è dotato di parola, e che proprio la capacità di spiegare e collaborare con i ricercatori ha permesso di studiare profìcuamente il fenomeno nell'essere umano.

  Se non è follia questa!
  Una follia che non sarà certo in grado di ridare un barlume di vista ai 100.000 che ogni anno diventano ciechi, come promettono gli scienziati.
  Una follia da 2 milioni di euro in soldi pubblici.
  Una follia che, se anche il macaco arrivasse a indicare l'immagine di una banana proiettata su uno schermo, non darebbe, va ribadito, un filo di luce in più ad alcun cieco, mentre i ricercatori affermano pubblicamente, in un recente manifesto, che ne trarranno vantaggio i 100.000 ciechi che ogni anno lo diventano in Italia.
  Più che follia, la chiamerei cinismo, nell'alimentare speranze che hanno indotto l'ex presidente dell'Unione Ciechi di Parma ad affermare, sulle colonne di questo giornale, che sacrificherebbe mille scimmie pur di ridare la rista a un cieco, mostrando chiaramente quale subdolo messaggio gli sperimentatori hanno fatto filtrare.

 E riecheggiano qui le parole del Gallese, che sono il ritornello cui ricorrono gli sperimentatori quando non hanno argomentazioni scientifiche: “Meglio una scimmia o meglio la vita di un bambino?". Meglio tutte e due, professor Gallese, perché da decenni questo tipo di ricerca, basata su modelli animali, fa acqua da tutte le parti e, in mezzo affogano milioni di malati e piangono la loro disperazione. milioni di famiglie. Sono i malati di malattie neurodegenerative, come l'Alzheimer che incombe con numeri drammatici (altro che il blindsight!) sulla popolazione e che da decenni sono studiate sui ratti. E quali sono i risultati? Il risultato è che tre fra le più grandi compagnie farmaceutiche mondiali, hanno sospeso i finanziamenti perché «il modello animale è risultato totalmente inefficace».

  La vivisezione? «Balle», per Gallese. «Gli esperimenti si fanno in anestesia - afferma - non con gli animali svegli». Peccato che la legge preveda che «se l'anestesia è incompatibile con le finalità dell'esperimento possa essere evitata» (D.U. 2010. Art 14, Comma 2, capo B.). Non lo sapeva? Eppure un ricercatore del suo calibro non dovrebbe essere cosi ignorante (strictu sensu).

  Capisco che non vi piaccia il termine “vivisezione" e allora chiamiamola pure sperimentazione animale. Non cambia nulla. Tra l’altro, se conosco un minimo la lingua italiana, un corpo operato in anestesia generale è vivo, non morto, per fortuna di chi va sotto i ferri del chirurgo. Quindi il termine “vivisezione" è del tutto corretto. E trattando di anestesia, risto che è il mio campo, ho avuto modo di fare l’analisi critica del protocollo di anestesia dei macachi di Modena (ora liberi) e posso assicurare che si poteva ritenere adeguato forse 50 anni fa.

 L'errore della sperimentazione animale sta nel metodo. Studiare le malattie umane su animali compietamente diversi dall’uomo e poi pretendere che i risultati coincidano, vuol dire il fallimento certo della ricerca a causa di un errore strategico drammatico, come lo definiva il Prof. Pietro Croce, patologo di fama mondiale. Del resto con lui concordava la compianta Margherita Hack, nostro prestigioso premio Nobel, cosi come i sempre più numerosi scienziati internazionali che abbracciano i metodi sostitutivi, molti dei quali già disponibili nei laboratori, come Thomas Hartung, Azra Raza, Jarrod Bailey, per citarne solo alcuni. E che dire del prestigioso British Medical Journal che non pubblica più, da anni, ricerche basate sulla sperimentazione animale?

  Ma allora perché si continua a finanziarla generosamente? Per indolenza, perché non si ha voglia di cambiare, perché è molto più facile ottenere soldi e punteggi che alimentano il curriculum delle baronie imperanti ma le persone che soffrono di Alzheimer e il dramma delle loro famiglie gridano un “basta!” alla ricerca dell’elisir di Dulcamara sui topi. Sono stanchi di essere presi in giro da una ricerca che spende fortune per concedergli alfine una pacca sulla spalla.

  Lo spazio concessomi è finito e non mi permette di andare oltre, ma mi consente di chiedere un confronto pubblico tra questi blasonati ricercatori e noi, poveri dottor Pinco Pallo. Dovrebbe essere facile per loro vincere. E allora discutiamo civilmente attorno a un tavolo di metodologia scientifica, di metodi sostitutivi, di protocolli sperimentali non resi accessibili ad alcuno, di stabulari blindati anche per i parlamentari. di benessere animale lasciato in mano allo stesso titolare dell'esperi mento e di altre facezie del genere.

Oscar Grazioli
Medico veterinario, socio fondatore e membro del direttivo di Oltre la sperimentazione animale
https://www.oltrelasperimentazioneanimale.eu/

LA REPLICA DI GIULIA CORSINI E L'ARTICOLO DI OPEN.ONLINE

L'articolo genera la reazione della collega Giulia Corsini, che il 15 novembre fa pubblicare una dettagliata replica per contestare parte delle affermazioni di Oscar Grazioli. La riportiamo integralmente più avanti. Cominciamo segnalando l'appoggio datole dal quotidiano Open.online diretto da Enrico Mentana;  esso dedica alla vicenda (schierandosi con Giulia Corsini) un ampio articolo in cui - fra l'altro - sono riassunti i punti di contestazione: li riportiamo qui in corsivo (per leggere l'articolo intero cliccare sull'immagine o QUI); sotto ognuno di essi viene indicato un nostro commento.

1 - Viene citata a favore delle proprie argomentazioni l’astrofisica Margherita Hack. In realtà la compianta scienziata non era contro la Sperimentazione animale a tutti i costi: «se ci sono casi in cui è assolutamente necessaria allora che la si effettui in anestesia». Ed è così che viene fatta la Sa oggi;
Così vien fatta? Sarà, poi escono queste "sorprese" in un paese, la Germania, dove le norme sono severe e da parte di un'azienda molto "quotata". Fate un po' voi...

2 -Secondo l’autore «sempre più scienziati internazionali abbracciano i metodi sostitutivi». In realtà stando a un sondaggio condotto nel 2015 dal Pew Research Center, il 96% dei ricercatori biomedici considerano la Sa necessaria (dato che ricorda la percentuale di esperti che riconoscono il contributo umano nei cambiamenti climatici rilevante);
Notare: Oscar Grazioli non ha detto che sono un'ampia percentuale, ma che aumentano di numero; anche di noi vegani si dice sui media che siamo in forte crescita eppure siamo solo il 2-3%; prima però eravamo percentuali da prefisso telefonco milanese, quindi in effetti si può correttamente dire che sempre più persone diventano vegane, così come si può dire che sempre più scienziati sono contrari alla sperimentazione animale, pur essendo ancora una percentuale ridotta.

3 - Si allude a «metodi sostitutivi per ogni tipo di ricerca». In realtà dove sono previsti la Sa non viene mai applicata;
Ci dobbiamo credere?  E' quel che si dice un "atto di fede" e certa realtà (vedasi il link di cui sopra) ci induce ad essere ... laici.

4 - Si fa riferimento alla rivista British Medical Journal, la quale da anni non pubblica ricerche basate sulla Sa, ma si tratta di una scelta editoriale, non etica, per non rischiare di perdere lettori;
Vediamo anzitutto su wikipedia cosa è il British Medical Journal:
Il British Medical Journal, in sigla BMJ, è una rivista medica pubblicata con cadenza settimanale nel Regno Unito dalla British Medical Association (BMA). L'editor attuale, Fiona Godlee, ha coperto questa carica nel febbraio 2005, succedendo al precedente editor-in-chief Richard Smith.
Il BMJ si distingue dalle altre riviste mediche e accademiche in quanto svolge anche il ruolo di pubblicazione interna della British Medical Association, oltre a quello di pubblicazione per la ricerca medica avanzata. Esso pubblica news, articoli di ricerca, articoli educativi, necrologi, rassegne, fillers, aneddoti e storie di carriera degne di attenzione.
Viene generalmente considerato come una delle quattro riviste mediche generaliste più autorevoli, insieme a New England Journal of Medicine, The Lancet e Journal of the American Medical Association.

Ora, che una rivista prestigiosa di ricerca medica avanzata, diretta soprattutto ai medici, che quindi per il 96% sarebbero favorevoli alla sperimentazione animale, rinunci a pubblicare articoli basati sulla sperimentazione animale, rischiando di dare un assist agli oscurantisti contrari alla sperimentazione... beh, dite voi quanto sta in piedi.

5 - Anche il termine «vivisezione» usato dal veterinario è fuorviante. La legge italiana prevede già infatti di «vietare le procedure che non prevedono anestesia o analgesia, qualora esse causino dolore intenso a seguito di gravi lesioni all’animale» (Articolo 14 comma 1 del Dlgs. 26/2014).
Il termine vivisezione può essere correntemente utilizzato per indicare la sperimentazione animale. Non è infatti vero, come scrive Giulia Corsini (vedi olre il testo), che la Cassazione l'ha considerato diffamatorio in sé, bensì solo quando ad esso viene associata una terminologia "accompagnatoria" che supera il limite della "continenza" nel diritto di critica. La sentenza è molto chiara in tal senso.

silenzio su due punti fondamentali

Nulla viene contestato o spiegato da parte di Giulia Corsini in merito all'abbandono delle ricerche sui morbi di Alzheimer e Parkinson da parte di tre multinazionali farmaceutiche (Pfizer, Merck e Biogen) . Qui gli articoli che lo spiegano:
https://www.ilsole24ore.com/art/perche-pfizer-abbandona-ricerca-alzheimer-e-quali-sono-sviluppi-corso-AEizW9dD
https://www.corriere.it/cronache/18_gennaio_15/alzheimer-malattia-negletta-aziende-rinunciano-ricerca-255a63f0-f9f8-11e7-b7a0-515b75eef21a.shtml
https://www.blitzquotidiano.it/salute/alzheimer-farmaci-non-funzionano-3019254/

Eppure i morbi di Alzheimer e Parkinson sono malattie tutt'altro che rare, che porteranno fiumi di profitti a chi trovasse farmaci efficaci. Perché abbandonare quindi? Perché vale più che mai quanto scritto sul Sole 24 Ore (giornale di Confindustria) che le ricerche sui modelli animali sono in gran parte fallimentari (lo trovate QUI); sicuramente le aziende farmaceutiche ce l'hanno messa tutta, ma a un certo punto si sono rese conto che la sperimentazione animale in queste ricerche dà lo stesso risultato del pestare l'acqua in un mortaio...

Tantomeno viene contestato il fatto che il protocollo di anestesia è vecchio di cinquant'anni!

I lettori di Open però questo non lo sanno, perché i due articoli vengono riprodotti in immagini illeggibili; possono solo leggere come vengono sommariamente "smontate" (secondo l'autore) le argomentazioni di Oscar Grazioli, sorvolando sulle altre. Non proprio quel che si dice un'informazione completa (e sul web si ha tutto lo spazio che si vuole per riportare i testi, come abbiamo fatto in questa pagina).

Perché tanto impegno da parte di molti ricercatori nel difendere la sperimentazione animale? Solo desiderio del bene dell'umanità? Può darsi, però dobbiamo anche notare che ne ottengono come minimo di che vivere e - se va bene - anche prestigio con la pubblicazione di "ricerche" ottime per la carriera accademica, ma di fatto in gran parte inutili per i malati, visto che portano - in campo neurologico almeno - alla "lunga serie di fallimenti" di cui scrive il sopracitato articolo del Sole 24 Ore.

denigrazione? No grazie

Su un punto però l'articolista di Open.online ha pienamente ragione: nello stigmatizzare la denigrazione personale nei confronti di Giulia Corsini.
Cercare di sminuire e ridicolizzare una persona, definendola ragazzina ad esempio o con caricature grottesche (lasciamo perdere gli eventuali insulti che qualificano in sé chi li lancia) è sbagliato per tre motivi:

1 - dal punto di vista teorico-morale, perché la mancanza di un rispetto minimo della controparte mina alla base la convivenza sociale, come dimostra peraltro la degenerazione del dibattito pubblico, specie in politica; questo dovrebbe essere il motivo principale e sufficiente di per sé.

2 - dal punto di vista concettuale, perché fa presumere una scarsa validità delle proprie argomentazioni, facendo pensare che debbano essere così "pompate" in questo modo, al fine di sviare parzialmente l'attenzione e non far emergere la loro debolezza, proprio come quei cuochi di scarso valore, che condiscono i loro piatti con molto sale o abbondante uso di grassi, affinché questi sapori "coprano" la loro insipienza.
E se poi il piatto è veramente buono di suo, non se ne accorge nessuno.

3 - dal punto di vista pratico, denigrando otterrete di rimando una generale levata di scudi a favore della controparte; basti leggere ad esempio la reazione del Sindaco di Parma Pizzaroti: non entra nell'argomento ma va a colpo sicuro, perché gli "errori di forma" si pagano e a pagarli sono proprio le vittime della sperimentazione: farci passare per gretti energumeni è il modo migliore per aiutare chi sostiene la sperimentazione/vivisezione, costringendo oltretutto gli autori degli "apprezzamenti" ad umilianti arrampicate sugli specchi per giustificarsi.


L'ARTICOLO DI REPLICA DI GIULIA CORSINI

Ecco il testo integrale dell'articolo publicato il 15/11/19

"Gentile Direttore,
sono medico veterinario, socia fondatrice e componente del direttivo dell'associazione Patto Trasversale per la Scienza, il cui obiettivo è contrastare la disinformazione ribadendo evidenze scientifiche quali unico fondamento per deliberare nell’ambito della salute e della cura. La disinformazione, degradando fatti e verità scientifiche condivise a semplici opinioni, offre false attese e inquina la qualità della discussione su temi eticamente sensibili. L’aspetto più preoccupante di questo processo di decadenza o fragilità culturale non è tanto rappresentato da chi, per malafede o ignoranza, diffonde informazioni palesemente false, ma soprattutto da chi, in buona fede, è disposto ad accettarle per vere su basi essenzialmente emotive. L’articolo apparso recentemente a firma del collega Oscar Grazioli sul tema della sperimentazione animale e del progetto LIGHTUP delle Università di Torino e Parma può essere un esempio.

Partiamo dai fatti certi. Margherita Hack non ha purtroppo ricevuto alcun premio Nobel come sostenuto dal collega Grazioli. Peraltro, la prof.ssa Hack era un’astrofisica, quindi piuttosto lontana per interessi scientifici dall’ambito biomedico. E comunque, dichiarava che “se ci sono casi in cui la sperimentazione animale è assolutamente necessaria allora che la si effettui in anestesia” (Corriere del 12 Febbraio 2012): come correntemente si fa in effetti, per legge. Se di Nobel vogliamo parlare, si noti che ben 98 su 110 premi Nobel per la Medicina o la Fisiologia e tutti quelli degli ultimi 30 anni, sono stati assegnati per scoperte che hanno richiesto l’impiego di animali. Se questo si può ritenere, come scrive Grazioli, "retaggio di una ricerca biologica che ha conosciuto il suo fulgore due secoli fa e che perde ogni giorno credibilità", ci chiediamo chi o che cosa debba allora essere degno di credibilità.

Tralasciando i premi Nobel resta però il grosso della comunità scientifica dove, secondo Grazioli, “sempre più scienziati internazionali abbracciano i metodi sostitutivi”. La realtà è però ben diversa, come testimonia l’amplissima condivisione trasversale sull'importanza della sperimentazione animale. Lo dimostrano grandi sondaggi come quello condotto dal Pew Research Center nel 2015 su un campione di oltre duemila adulti statunitensi e 3748 scienziati di ogni disciplina, membri dell’American Association for the Advancement of Science, la maggiore organizzazione scientifica americana. L’89% degli scienziati concordava sulla necessità della sperimentazione animale, e tale percentuale raggiungeva il 96% se si consideravano solo i ricercatori di ambito biomedico. Questo dato è confermato da un altro sondaggio effettuato su un campione di 1000 ricercatori biomedici di tutto il mondo e pubblicato nel 2011 su Nature, la più prestigiosa rivista scientifica internazionale.

I metodi sostitutivi sono sempre più diffusi e sviluppati, grazie al lavoro degli stessi ricercatori che utilizzano anche gli animali quando necessario. E’ però del tutto fuorviante alludere all’esistenza di metodi sostitutivi per ogni tipo di ricerca. Quando questi realmente esistono, la sperimentazione sull’animale non può e non deve, per legge, essere autorizzata ed effettuata. Inoltre, per legge, si deve impiegare il numero minore di animali possibile e migliorarne al massimo le condizioni di vita. Cosa è davvero “fallace e fuorviante” dunque, e rappresenta il “subdolo messaggio” che inganna i pazienti e la società? Le cure, reali e concrete, che oggettivamente derivano dalla sperimentazione animale e dal lavoro quotidiano delle ricercatrici e dei ricercatori (si veda un elenco parziale prodotto dalla fondazione Veronesi), o l’illusione che basti un cambio di mentalità per trovare magicamente la soluzione ad ogni malattia, magari testando tutto direttamente sull’uomo senza alcuna verifica preventiva dell’efficacia e sicurezza delle terapie?

“E che dire del prestigioso British Medical Journal, che non pubblica più da anni ricerche basate sulla sperimentazione animale?” si chiede Grazioli. Risposta: il BMJ non pubblica ricerche basate sulla sperimentazione animale non per una scelta etica, ma per opportunità editoriale che asseconda gli “interessi dei nostri lettori”. Ed è stato l’Executive Editor del giornale stesso, Kamran Abbasi, a confermarlo. Sarebbe come dire che una radio trasmette solo musica classica perché ritiene inaccettabili altri tipi di musica. E per capirlo bastava consultare le indicazioni per gli autori pubblicate dal giornale stesso: Grazioli avrebbe scoperto che il giornale non accetta neppure
“ricerche di base in laboratorio, studi fisiologici, farmacologici, sociologici o altri studi condotti su volontari sani”.

Arriva poi l’immancabile digressione terminologica sulla parola “vivisezione”. Un termine che, come piace ricordare agli animalisti, esiste solo in quanto definito dall’Enciclopedia Treccani (al pari di “petaloso”), ma che non è presente nella legislazione italiana o europea, e che una recente sentenza della Corte di Cassazione riconosce come diffamatorio (n. 14694 del 19/07/2016). Quanto poi all’anestesia, la legge italiana che regola la sperimentazione animale stabilisce che siano "vietate le procedure che non prevedono anestesia o analgesia, qualora esse causino dolore intenso a seguito di gravi lesioni all’animale”, a meno che l’oggetto della sperimentazione non sia l’anestetico stesso, (articolo 14 comma 1 del Dlgs. 26/2014), cosa che ovviamente non riguarda il progetto LIGHTUP. Se poi, come dice Grazioli, il termine “vivisezione” è del tutto corretto perché “un corpo operato in anestesia generale è vivo, non morto, per fortuna di chi va sotto i ferri del chirurgo”, vuol dire che ogni medico chirurgo sarebbe un vivisettore (io, lavorando in emergenza con i piccoli animali, a volte mi trovo a "vivisezionarli" per salvarli!).

Ancor più fuorvianti sono le spiegazioni di Grazioli sul “folle” progetto LIGHTUP. Peccato che Grazioli non sia un neuroscienziato, non abbia mai fatto né tanto meno pubblicato una ricerca su pazienti (umani o animali) con blindsight e, soprattutto, non abbia mai letto il progetto di cui parla. Infatti, ogni progetto di ricerca in corso contiene proprietà intellettuali che l’ordinamento giuridico tutela, e nessun progetto, che comprenda sperimentazione animale, sull’uomo, o di astrofisica è pubblico prima della sua conclusione.
Da qui il dilemma: come orientarsi e formarsi un’opinione senza poter accedere alla fonte originaria e senza avere le competenze specialistiche che uno scienziato si forma con anni di studio e ricerca in uno specifico campo? Io ho fatto così.

Da un lato c’è un progetto proposto da chi, come il prof. Tamietto, studia il blindsight da oltre quindici anni, utilizzando e sviluppando i metodi di neuroimmagine non invasiva su pazienti (i metodi alternativi che elenca Grazioli come sostitutivi alla sperimentazione animale, e già previsti nel progetto), fianco a fianco con chi questo fenomeno lo ha scoperto proprio in virtù di studi comparati tra uomo e macaco. Sempre dallo stesso lato, c’è la valutazione positiva, sia scientifica che etica, dello European Research Council, fatta da esperti indipendenti e anonimi, e dall’ente di ricerca europeo più prestigioso che finanzia solo il 10% circa di tutte le proposte ricevute. Ancora dallo stesso lato c’è il Consiglio Superiore di Sanità, la massima autorità tecnico-scientifica di cui si dota il Ministero della Salute e che ha valutato positivamente e autorizzato il progetto. Infine, c’è il TAR, che nell’ordinanza di martedì 5 Novembre sul ricorso fatto dalla "Lega Anti Vivisezione" e "Oltre la Sperimentazione Animale" contro il progetto scrive che “le ricorrenti non forniscono la prova o un principio di prova della infondatezza della tesi…attraverso la dimostrazione di metodiche scientifiche alternative…rispetto a quelle previste dalla sperimentazione contestata, che consentano di raggiungere i medesimi risultati di ricerca applicata o traslazionale”.

Dall’altro lato, ci sono persone che partono da un presupposto ideologico, non hanno alcuna comprovata competenza sulla sperimentazione in corso, né alcuna capacità di dimostrare concretamente le tesi che proclamano, quindi propongono solo la più banale, diffamatoria e generica delle ipotesi complottiste.
Sarebbe bello poter fare a meno della sperimentazione animale se fosse possibile, ma quando si tratta di ricerca e di cura (da pazienti e da medici di uomini e animali) è necessario affidarsi alla scienza, alla medicina basata sulle evidenze, alle competenze consolidate, alle valutazioni indipendenti degli organismi istituzionalmente preposti.

Giulia Corsini, Medico Veterinario, consigliere del Patto Trasversale Per la Scienza"


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