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scientificità e scientismo

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SCIENTIFICITA’, SCIENTISMO E... “CANTONATE SCIENTIFICHE”

I sostenitori della sperimentazione animale, normalmente sostengono che la loro posizione è giusta in quanto è sostenuta dalla schiacciante maggiornaza  della comunità scientifica (come la dott.ssa Giulia Corsini nel dibattito a mezzo stampa con il collega Oscar Grazioli, che trovate qui https://www.animalitalia.it/grazioli-2019-macachi.html).
Ma è proprio così? Vediamo due casi recenti in cui la comunità scientifica "ufficiale" sta ribaltando (digiuno) o ha ribaltato le sue posizioni (neonati "indolor"), prendendo in quest'ultimo caso un granchio colossale che ha creato delle enormi sofferenze.
Ovviamente questo non deve voler dire che non bisogna dar retta alla comunità scientifica, perché altrimenti qualunque cosa passi a qualcuno per la testa (dalla terra piatta alla creazione in sette giorni o alla fine del mondo un giorno stabilito) può essere presentata come verità con le immaginabili conseguenze, bensì che bisogna anche controllare bene cosa dice la minoranza della comunità scientifica, che non si adegua e cercare di approfondire senza preconcetti, perché specialmente in questo campo non è assolutamente detto che la maggioranza abbia di per sé ragione, neppure quando è schiacciante.

Il metodo scientifico e lo scientismo

Il metodo scientifico permette di considerare “certo” quello che può essere riprodotto sempre e da chiunque, una volta ricreate le stesse condizioni (una reazione chimica, una cura ecc). Impedisce così ai ciarlatani di vendere fumo impunemente.
Ma spesso nella comunità scientifica ci si imbatte anche nello scientismo, che il vocabolario Treccani definisce come "Il particolare atteggiamento intellettuale di chi ritiene unico sapere valido quello delle scienze fisiche e sperimentali, e svaluta quindi ogni altra forma di sapere che non accetti i metodi propri di queste scienze". In pratica potremmo dire che lo scientismo è una forma raffinata di saccenteria...
Peraltro un simile atteggiamento sarebbe anche giustificabile o quanto meno comprensibile se la comunità scientifica dimostrasse di avere sempre ragione, tutte le volte che si registra una larga maggioranza su un determinato argomento.
Così però non è, particolarmente in medicina.

I biscotti della discordia

Facciamo dapprima un esempio “dolciario” per inquadrare la questione (e alleggerire l’argomento); la zia Maria ha scoperto una ricetta per biscotti della sua trisavola che utilizza solo lievito, farina, acqua, fichi secchi, frutta secca e fresca e un po’ d’olio (non perché fosse vegana ma perché  ai tempi uova, latte e burro erano riservati alle classi agiate); biscotti che vanno a ruba fra i nipotini e graditissimi anche al suo cane Bobi.
 La zia Maria manda un pacchetto di biscotti e la ricetta all’Accademia di culinaria, tempio della comunità “cuochifica” (per così dire), comunità fermamente convinta che i biscotti non possono essere buoni senza latte, uova o burro.
I cuochi dell’Accademia li assaggiano, prendono atto che in effetti sono buoni, ma non riescono a farne di uguali seguendo la ricetta, anzi... Pertanto “bocciano” la ricetta a livello scientifico: non hanno ottenuto lo stesso risultato (i biscotti sono sassi immangiabili); si rendono però conto che in effetti i biscotti della zia per qualche motivo non corrispondono a quanto afferma la teoria corrente e che di questo bisogna comunque tenere conto in qualche modo.
 E l’Accademia di cuochi scientisti come si comporterebbe? Pur di fronte a biscotti innegabilmente buoni che, analizzati, non contengono componenti di uova, burro o latte, li ritengono ininfluenti, minimizzano la gustosità dei biscotti che non riescono a rifare e per questo invitano la zia Maria (con sua gran delusione) a darsi al ricamo e a gettare i suoi biscotti a Bobi (con sua gran gioia), lasciando che siano i veri cuochi a cucinare.
La zia Maria però fa produrre i suoi biscotti alla panetteria del Carletto, con successo strepitoso e notorietà sulla stampa, cosicché l’evidenza della realtà spinge i cuochi scientisti a trovare dove sbagliavano (il lievito chimico e non naturale) e ad adeguarsi alla realtà con una spiegazione più o meno sostenibile.
Assurdo? Eppure due esempi di “giravolte scientifiche” sembrano proprio ricalcare questo schema: la valutazione terapeutica del digiuno e quella della sensibilità al dolore negli infanti.  

Il digiuno fa male, ma anche no

Per quanto riguarda il digiuno, il fatto evidente  è che l’inappetenza è un elemento comune, quando il sistema immunitario dell’organismo è sottoposto ad attacchi esterni (anche “pilotati”, non è rara dopo le vaccinazioni ad esempio) e non stiamo bene.
Questo doveva far intuire che per il nostro organismo (che agisce secondo il proprio interesse) la restrizione calorica sia da considerarsi utile a fronteggiare lo stress derivante dalla malattia; specialmente la  medicina  igienista ha da lungo tempo sostenuto la validità del digiuno come terapia (per approfondire potete ad esempio visionare il canale youtube del dottor Giuseppe Cocca); le prove a sostegno di questa tesi non erano riproducibili nei modi richiesti dalla medicina “ufficiale”, che la riteneva campata per aria, irridendola. Il “dogma” della medicina ufficiale (semplificando) era: il digiuno è inutile o dannoso perché l’organismo demolisce se stesso  per sopravvivere, generando anche sostanze tossiche.
Solo da poco la medicina ufficiale ha accettato di riconoscere ciò che era sotto gli occhi di tutti (la diminuzione o scomparsa dell’appetito in caso di malattia), anche se, va detto, ancora con una certa reticenza; oggi persino il notissimo prof. Silvio Garattini, sostenitore della sperimentazione animale, nemico acerrimo delle medicine alternative e quindi che possiamo considerare rappresentante perfetto della medicina ufficiale, dichiara in un'intervista di mangiare "in genere solo una volta al giorno", seguendo cioè il cosiddetto microdigiuno; il dottor Ruediger Dahlke spiega bene nel suo libro "il microdigiuno" come sia variata la percezione del digiuno in campo medico nel tempo.
E da alcuni anni si è cominciato (addirittura!) a sostenere l’utilità del digiuno per accompagnare la chemioterapia da parte di scienziati della medicina ufficiale (studi clinici del prof. Valter Longo), mentre trent’anni fa simili ipotesi sarebbero state liquidate dalla comunità medico-scientifica con una risata…
Come è stato giustificato il cambio d passo sul dogma “digiuno, no grazie”? Con l’altro dogma basato sugli esperimenti sugli animali, su cui la medicina "ufficiale" ha sperimentato il digiuno (che peraltro erano già stati fatti, purtroppo, un secolo fa e comunque ignorati dalla medicina ufficiale).
Se quindi una scappatoia per la giravolta in corso sul digiuno “riabilitato” è stata trovata, non altrettanto è accaduto per quella sulla presunta incapacità di provare dolore negli infanti: una giravolta tanto unanime e clamorosa quanto  misconosciuta e terrificante.

Il bambino non sente dolore...

 Leggiamo infatti a pag. 14 del manuale "il dolore nel bambino", pubblicato dal Ministero della salute e che trovate qui

Fino a poco tempo fa il sistema nervoso del neonato, anche pretermine (prematuro NdR), e del bambino non era ritenuto adeguato a tradurre, trasmettere, modulare e percepire la sensazione dolorosa. L'immaturità dei recettori, delle vie nervose e dei sistemi neurochimici, gli alti livelli di oppioidi endogeni e la supposta incapacità di memorizzare l’esperienza dolorosa, erano considerati gli elementi per negare il dolore nell’età pediatrica. Ampia letteratura a partire dagli anni ’80, ha dimostrato che ... (seguono una serie di evidenze NdR)

Il risultato della “cantonata” presa dalla comunità scientifica lo leggiamo in “Linee guida per la prevenzione e il trattamento del dolore nel neonato” della Società italiana di Neonatologia ancora nel 2008 (quindi vent’anni dopo le “evidenze” di cui sopra) che potete visionare qui

Nonostante le sempre maggiori evidenze che il dolore acuto e ripetitivo nel neonato ed in particolare nel pretermine è causa di alterazioni fisiologiche, comportamentali, ormonali ed endocrine, con potenziali effetti deleteri a breve e lungo termine, ancora frequentemente i neonati ricoverati nelle Terapie Intensive Neonatali (TIN) sono esposti precocemente a stimoli dolorosi non controllati per procedure diagnostiche, terapeutiche e chirurgiche.
Stimoli dolorosi non controllati” possiamo tradurlo  prosaicamente in “un male boia”… e si rabbrividisce particolarmente quando ci si riferisce alle pratiche chirurgiche!

 un meccanismo perverso

 Notare il meccanismo che ha portato a questa situazione: la comunità medico-scientifica compattamente riteneva che nei bambini piccoli il sistema neurologico non era in grado di trasmettere il dolore e quindi essi non potevano sentire il dolore, anche se si dibattevano  davanti a loro dal male che provavano. E ancora vent’anni dopo la tragica conferma che la realtà era terribilmente diversa, molti medici continuavano a ritenere gli infanti scarsamente sensibili al dolore! C’è da chiedersi: ma cosa pensavano quei medici di fronte all'evidenza della reazione dei bimbi agli "stimoli dolorosi non controllati"?
Non si sa, nessuno glielo chiederà. Adesso però si dice: scusate tanto, avevamo sbagliato!
Viene in mente quel che pensava Cartesio alcuni secoli prima relativamente alla sofferenza degli animali, che vedeva  semplicemente come macchine, per cui si poteva operare allegramente sul loro corpo, e le urla che lanciavano non andavano considerate grida di dolore senziente, ma dei rumori meccanici simili a quelli che provengono dalle macchine...

l’accecamento scientista

 Era così difficile assumere un atteggiamento di prudenza e cautela di fronte al dibattersi e agli urli dei bambini, comportamenti che cozzavano pesantemente con le convinzioni supportate da riscontri scientifici considerati ineccepibili (l'immaturità dei nocicettori) e dimostratisi poi sbagliati?
Evidentemente sì, perché significava scendere dal piedistallo su cui si era autocollocata la comunità scientifica (in questo caso medica), che aveva stabilito “scientificamente” che  gli infanti non avevano i recettori del dolore sviluppati come gli adulti, e quindi non potevano percepirlo come noi; una figuraccia incredibile.
A tanto ha portato lo scientismo, che comporta di fatto il rifiuto senza appello di quello che la maggioranza della comunità scientifica in un determinato momento stabilisce come “Verità”, anche se cozza contro l’evidenza: così il digiuno non può far bene, il bambino piccolo non può sentire dolore e … i biscotti della zia Maria non possono essere buoni senza latte, uova o burro.

competenti e incompetenti

 Quando in una discussione presentiamo  i riscontri concreti e comprovati (per non fare noi in questo caso una figura da cialtroni) messi a disposizione dagli scienziati non coinvolti nella sperimentazione animale, e che sono in minoranza, spesso gli scientisti obiettano allora che siamo “incompetenti” e che la comunità scientifica nella stragrande maggioranza sostiene il contrario.

Possiamo replicare da una parte che non c’è bisogno di essere meteorologi per guardare fuori dalla finestra e accorgersi che sta piovendo; dall'altra che in un recente passato i “competenti”  professori di neonatologia non si accorgevano neanche che i neonati urlavano per il dolore, pur guardandoli tutti i giorni.

La negazione “scientifica”, documentata e assai condivisa, della percezione del dolore nei neonati e negli infanti è stato un bell’esempio di accecamento scientista, colossale, recente e incontrovertibile, dalle conseguenze disastrose, che legittima il diritto allo scetticismo nei confronti di certi “dogmi” sostenuti da gran parte della comunità medico-scientifica, primo fra tutti la validità/indispensabilità della sperimentazione animale. Questo non deve significare che dobbiamo berci tutte le frottole che ci capitano a tiro, dalla terra piatta ai complotti più inverosimili, ma che dobbiamo valutare sempre senza pregiudizi anche ciò che sostengono le minoranze delle diverse comunità scientifiche, ben consci che in questi campi la maggioranza non ha sempre ragione.

PS un ulteriore esempio di giravolta ancora in corso è quella sulle otturazioni dentali con il cosiddetto amalgama mercurio/argento. Da una parte la "versione ufficiale" che ritiene che l'amalgama sia assolutamente innocuo per chi se l'è ritrovato in bocca (cliccate qui), dato che non rilascia mai nulla, dall'altra una minoranza di ricercatori che afferma l'esatto contrario (cliccate qui per un esempio).  Di fatto, per fortuna, ormai le nuove otturazioni non si fanno praticamente che in minima parte con l'amalgama; la motivazione non è dovuta alla pericolosità di questa lega per la salute, bensì estetica o ambientale per la gestione del mercurio  (però, guarda caso, è comunque vietata per le donne in gravidanza e per i ragazzi con meno di 15 anni; ma se è stabilissima, perché mai vietarla?); così si è evitato di dover riconoscere una nuova cantonata "scientifica"; questo terzo esempio è un ulteriore conferma della necessità di valutare bene le osservazioni delle "minoranze" nella comunità scientifica.


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